ROMA - Apriti social. Parafrasando il Bardo Shakespeare, molto rumore, per nulla, a causa di tre capre nel titolo. Quando il direttore mi ha chiamato per comunicarmi che la prima pagina di ieri con “Capra! capra! capra!” aveva scatenato l’inferno in rete, già qualcosa mi era giunta, ma non credevo che il dibattito fosse, al solito, degenerato. Ho molto rispetto per i social che frequento con parsimonia, a parte Instagram perché bisogna fare uno sforzo in più, aver qualcosa da trasmettere non solo la prima cosa che ti passa per la testa, e perché, ovviamente, solletica il voyeurismo che è in me (e quasi in tutti noi). Ma torniamo alle “tre capre”. Lì per lì ho pensato di trovarmi in presenza di un rigurgito della lobby vegano-animalista, malgrado le ultime statistiche stimino i vegani in Italia allo 0,9 per cento, in netto calo. Anche la mia libraia, tutta felice, mi ha annunciato che è non è più vegana, è diventata vegetariana e quindi si aspetta che finalmente le porti la focaccia con il formaggio che le ho promesso da tempo. Ho sperimentato sulla mia pelle la virulenza dei pasdaran dell’animalismo proprio per una faccenda di ovini. Ma non era la lobby vegano-animalista. Si è trattato, come accade spesso, del solito corto-circuito social. Qualcuno vede il titolo, si risente, mette in copia il risentimento con una serie di “@“ e via, c’è chi ritwitta e parte la sarabanda. Tutti a scrivere giudizi su qualcosa che manco hanno letto. E non si riesce più a salvare né capra, né cavoli, precipitando in un dibattito dove il diritto di critica è esercitato senza conoscere il motivo della medesima. Il problema è questo. Un tale, su twitter, mi tira in ballo come autore dell’articolo che regge il titolo. “So che i titolisti di norma sono altri, ma lei non ha niente da dire?”. Gli ho risposto con una domanda: “Ma lei lo ha letto l’articolo?”. Io credo di no.