SAN PAOLO - Oggi si gioca Brasile-Germania. C’è stato un uomo che ha riassunto nella sua storia lo spirito dei due popoli. Si chiamava Arthur Freedenreich. E’ stato un campione, uno dei primissimi. Qualcuno dice: più grande di Pelè. Nato nel 1892, figlio di un commerciante tedesco emigrato in Brasile e di una domestica, una povera donna di San Paolo. Abbandonato dal padre, cresce per strada. Nel Brasile razzista di quei tempi i bianchi appartengono alla razza umana, i neri no. Lo sapevate?Il l Brasile è stata l’ultima nazione del continente americano ad abolire la schiavitù. Arthur è mulatto, ha i capelli crespi. Per giocare si spaccia per tedesco, aiutato dal cognome dice di essere cresciuto in Germania, si mette la brillantina per piallare i capelli, si tinge di crema di riso per sembrare più bianco. Finge. Fa come i bianchi: beve, fuma, si dà alla bella vita. Ma in campo non si finge. In campo Friedenreiche è un ballerino, un cannoniere implacabile. Diventa il primo calciatore non bianco ad avere un contratto da professionista. Si fa conoscere. Oltre i confini. La sua fama è globale. In Uruguay lo chiamano «El Tigre», i francesi lo incoronano «Re del calcio». Gioca ventisei anni nel campionato paulista. Segna come nessuno mai. Ma viene estromesso dalla Selecao: niente mulatti, non è tempo per voi. Si ritira nel 1935, a quarantatre anni. Muore nel 1969, dimenticato da tutti. Verrà riabilitato con il passare del tempo. Agli inizi della carriera aveva incaricato un compagno di squadra, Mario de Andrade, di tenere il conto delle sue reti. Ma quello se ne dimentica, un po’ prende nota, un po’ no. La leggenda vuole che abbia segnato più gol di Pelè. Ma resta una leggenda. Quella di Arthur Freedenreich, l’uomo che ebbe due vite, il primo nero che per giocare si fece bianco.