George Weah, il centravanti Presidente

Nella seconda metà degli anni Novanta il liberiano fu il perno centrale dell'attacco del Milan di Berlusconi. Oggi è al vertice del suo Paese
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Che succede al Milan nel 1995? È il primo anno nel quale la squadra degli Invincibili guidati da Fabio Capello dà qualche segno di cedimento: primo scudetto “perso” dopo i tre di fila conquistati dal 1992 al 1994 e una finale di Coppa dei Campioni perduta a cinque minuti dalla fine. E, soprattutto, la certezza che Marco Van Basten non potrà più guidare l’attacco rossonero per via di una caviglia malconcia che lo costringe a interrompere i suoi ceselli di calcio. C’è bisogno di trovare qualcuno in grado di portare sulle spalle una maglia così pesante con la leggerezza di una farfalla e la dirigenza rossonera individua nel liberiano George Weah (8 gol in 11 partite per lui nella Champions League 1994-95 nelle file del PSG) il profilo di attaccante con i requisiti giusti. Imponente ma agile nei movimenti (184 centimetri per 76 chili di muscoli), dotato di una raffinata tecnica individuale, Weah ci mette poco a dimostrare che l’operazione vale gli 11 miliardi di lire segnati sul bilancio della società mediaticamente più esposta di Silvio Berlusconi. 


LA PRIMA VOLTA - Già all’esordio contro il Padova fa gol dopo soli 7 minuti con un colpo di testa in elevazione che ne mostra le inverosimili doti atletiche. Weah non è solo uno stoccatore finale: partecipa al gioco, dà del tu al pallone, dribbla, cerca i compagni. Come il capitano Baresi, al quale fornisce l’assist per uno dei rari gol di kaiser Franz, che suggella la prima vittoria in campionato. Ma la piena manifestazione di Weah in Italia avviene alla terza giornata, quando i rossoneri scendono a Roma per trafiggere i giallorossi che, dopo il gol iniziale di Balbo, rimangono storditi dalla doppietta di re George che, in occasione della seconda marcatura, condensa il suo repertorio prima con un allungo micidiale che brucia la linea difensiva e poi con uno slalom su Aldair con palla tra i piedi che anticipa la marcatura. È scudetto al primo anno – nel frattempo si era aggiudicato il Pallone d’Oro, unico africano nella storia del premio - e la nascita di un’intesa con compagni e tifosi che ne riconoscono, oltre che a quelle tecniche, le doti umane: generoso in campo, disponibile coi compagni, sempre attento alle tematiche sociali, Weah rimane definitivamente scolpito nella memoria di chi lo ha visto giocare l’otto settembre del 1996. 

COAST TO COASTÈ la prima giornata di campionato e il Milan affronta il Verona in casa. A cinque minuti dalla fine gli scaligeri battono un calcio d’angolo la cui traiettoria cade sui piedi di Weah. Siamo in area di rigore del Milan e l’attaccante rossonero, non avendo avversari nelle vicinanze, comincia ad uscire verso il centrocampo. È difficile sapere cosa gli passi per la mente, se il disegno dell’azione che si sviluppa nei 15 secondi successivi gli è già chiaro in mente o è il frutto estemporaneo di un’intelligenza istintiva che lo porta a correre palla al piede per 90 metri, scartare un numero indefinito di avversari e depositare in rete un diagonale che non ha il peso della fatica ma la precisione di un ago. Un coast to coast di quelli che si ammirano nell’NBA, una corsa che solo i campi centripeti di Holly e Benji, fino a quel momento, avevano fatto vedere. La forza e la resistenza, la velocità e il dribbling, la terra sotto i piedi e l’aria nei polmoni: un gol per rimanere nella storia e nella memoria. Un gol da George Weah, liberiano che, dopo aver imparato in Europa, oggi spende il suo talento umano al servizio del suo Paese. Da allenatore, all’epoca tutti avrebbero potuto pensare. Un ruolo evidentemente troppo stretto per il suo grande cuore perché oggi della Liberia George Weah è il Presidente. Il numero uno.          


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