Volare oh oh, parare oh oh. Non è “Nel blu dipinto di blu”, ma è su un prato verde, a copertura di una rete sorretta da due montanti e una traversa. Non è nemmeno il ritornello di una canzone: è il mantra dell’intera carriera di un portiere straordinario, Luciano Castellini. Un ragazzo che nasce al termine della Seconda Guerra Mondiale a Milano e che cresce sulle rive del Lago di Como, a Menaggio. Sanguina nerazzurro e sogna di giocare nell’Inter, ma deve accontentarsi di essere il vicepresidente del fan club della Beneamata del paese. A 15 anni è nelle giovanili del Monza e a 20 è il portiere titolare: fino al 1970 difende i pali della squadra brianzola, tra Serie B e Serie C, poi arriva la chiamata del Torino e la sua carriera prende forma. Vola da una parte all’altra della porta: è un felino. Graffia il pallone come se avesse gli artigli ed esce sui piedi dell’attaccante come fosse la sua preda: per tutti è “Il Giaguaro”.
A NAPOLI - Con i granata diventa grande, raggiunge il tetto d’Italia nel 1976 e dopo otto stagioni da protagonista si trasferisce ai piedi del Vesuvio. Arriva nella società del vulcanico presidente Corrado Ferlaino e trova in panchina Gianni Di Marzio, ma l’allenatore viene sostituito da Luis Vinicio dopo appena due partite di campionato. Castellini è plastico e leggiadro nei voli, spettacolare negli interventi, ed è riconoscibile per quell’insolito paio di guanti che indossa. Mai visti prima d’ora in Italia. Li riceve da Sepp Maier, storico portiere della Germania Ovest. Da allora, li infila a ogni partita e si sente ancora più sicuro nella presa. È la fortuna dei fotografi, che collezionano migliaia di fotografie del portiere in pose particolarmente dinamiche. Luciano è capace di coprire i circa sette metri della porta con un solo balzo. Nonostante l’età avanzata per un calciatore di quel periodo, ha ancora riflessi felini. Ogni volta che si tuffa sembra una molla, legge in anticipo le idee degli attaccanti, ma dietro tutto questo c’è uno studio.
GLI APPUNTI - Non c’è YouTube alla fine degli anni ‘70, non c’è l’iPhone. Si studia sui libri e si estrapola dalla televisione, che da poco trasmette a colori. Ogni domenica sera Castellini si siede sul divano e guarda la Domenica Sportiva con un quaderno per gli appunti sul tavolino e una penna per scrivere. Si annota tutto ciò di cui ha bisogno: il modo in cui calcia l’avversario che deve affrontare la settimana successiva, la rincorsa dei calci di rigore. È un vero professionista. Prima della partita riprende il quaderno, ripassa e in campo para tutto. Al primo anno non subisce gol per 586 minuti, nella seconda stagione gioca tutte le 30 partite di campionato e raccoglie il pallone nella sua rete solo 20 volte. Nel 1980 il calcio italiano cambia: riaprono le frontiere e a Napoli arriva un fenomeno dalla scuola dei lancieri dell’Ajax, Ruud Krol. Insieme a Bruscolotti e a Ferrario, l’olandese forma un tandem difensivo straordinario, complice anche “Il Giaguaro” che controlla tutto dalla propria area di rigore.
RECORD DI IMBATTIBILITÀ - La squadra guidata da Rino Marchesi chiude al terzo posto dietro a Juventus e Roma, l’anno seguente arriva quarta. Ciò che impressiona, però, è la continuità di Castellini nel mantenere la porta inviolata: nel 1981-82 supera il record di imbattibilità casalinga della storia del Napoli ottenuto da Dino Zoff: da 657’, il primato sale a 763’. Non è abbastanza. Riscrive la storia tra nell’arco di due stagioni: dal 13 marzo 1983 al 29 gennaio 1984 non fa mai esultare un avversario al San Paolo, abbassando la saracinesca per 12 partite consecutive. Dal gol di Alessandro Altobelli a quello di Michel Platini passano ben 1188 minuti: impressionante. Con il Napoli non vince nessun trofeo, ma lascia un segno indelebile nella storia del club partenopeo. A distanza di trent’anni, i tifosi ancora si ricordano delle sue straordinarie parate e dei suoi voli plastici. Nel 2010, in un sondaggio portato avanti da Radio Kiss Kiss, è stato votato come miglior portiere della storia della società azzurra. Lascia le chiavi della porta ormai quarantenne a Claudio Garella, l’estremo difensore del primo Scudetto. L’eredità più importante, però, la lascia agli appassionati del gioco: il suo coraggio, le sue parate, le sue uscite sono un gesto tecnico che vale tanto quanto un gol, forse ancora di più. I suoi voli hanno ispirato giovani portieri, che vedendolo zompare da un palo all’altro hanno preferito imitare quelle gesta. Piuttosto che provare a mettere il pallone sotto all’incrocio, provano a raggiungerlo con un balzo felino, proprio come “Il Giaguaro”.