Ho urlato “mamma mia!” e credo che mamma, nonostante i chilometri di distanza e l’orario, abbia sentito. Il gol di Insigne, così improvviso, di una bellezza scioccante, ha infatti spezzato la monotonia di un tema che sembrava non si potesse svolgere fino in fondo: l’assente nazionale fin troppo rimpianto l’ha estratto dall’ombra riaccendendo la speranza. Solido e maturo, il Napoli, oltre che incredibilmente ripetitivo nei risolutori.
Insigne e Zielinski, come sabato scorso col Milan, e poi Mertens, di testa, un fuori repertorio. Di uno spettacolo particolarmente brillante, riuscito, si dice che vale il prezzo del biglietto. Il calcio nella sua crudezza è riuscito a demolire anche questa affermazione: perfino uno dei migliori spettacoli che uno stadio possa offrire, il gioco di Sarri, denuncia dei limiti di sostenibilità. Ieri c’era infatti poca gente, eppure la partita era di quelle importanti – meglio, decisive. C’era la diretta in chiaro, ma i troppi vuoti – encomiabile l’impegno canoro dei presenti - hanno fatto malinconia, l’appassionatissimo San Paolo sapeva meno di casa. Lo spettacolo, dentro, è mancato solo nella prima parte: il calcio molto spesso straripante, vitale e immaginoso ma sempre rigoroso del Napoli ha faticato ad imporsi su quello dello Shakhtar che Fonseca aveva di nuovo riempito di centrocampisti pronti ad agitarsi tra le linee. Le assenze di Koulibaly l’iniziatore e di Ghoulam l’anello mancante del terzetto di sinistra, il lato forte, si sono fatte sentire più che in altre occasioni e la riduzione delle soluzioni dagli esterni ha condannato spesso Insigne, Mertens e Callejòn al fuorigioco.