ROMA - In un mazzo di briscole sparse, loro sono gli assi di coppe e denari. Da Marotta a Conte, andata e ritorno. I trofei, certo, ma non solo quelli. Il carisma, l’organizzazione (aziendale o tatica, siamo lì). Pensare che a ottobre siano sul mercato, Conte da qualche mese e Marotta da poche ore, è stupefacente. Sarebbe come se due super attici a pezzi stracciati restassero invenduti. Sarebbe come se Cristiano Ronaldo sbagliasse tre rigori di fila. Ci sono i numeri, che valgono più di diecimila parole. In tre anni di Juve il bilancio del triplo tricolore (e dintorni) in tandem canta così: 273 punti, 83 vittorie, 24 pareggi e 7 sconfitte. Everest. Quando, luglio 2014, Conte litigò di brutto con la Juve e decise di lasciare, qualcuno interpretò la svolta attribuendola a un’improvvisa diatriba con l’amministratore delegato. Erano storie di programmazione, la pretesa di un’asticella più alta. In realtà il malcontento era generalizzato, non aveva un destinatario: Conte si sentiva un sopportato, sintesi tra il genio incompreso e l’allenatore-manager che non riusciva a incidere. Non c’entrava Marotta, ma lo smisurato super ego di Antonio che con la storia del ristorante da 100 euro (della serie non puoi sederti al tavolo senza quella cifra) immaginava di aver detto tutto. E salutò.
L’ATTESA E GLI SCENARI - Marotta è stato preso in contropiede, pensava di poter durare ancora e magari di prendere per le Grandi Orecchie il trofeo che manca al palmares. Nulla perché Andrea Agnelli ha presentato il conto. E la vicenda Ronaldo può aver pesato, malgrado le smentite: più per uno spirito d’iniziativa eccessivo di Beppe, non gradito alla proprietà, che per un atteggiamento passivo - troppo soft - nella mega operazione dell’estate. Marotta è un ex uomo mercato prestato con successo al tavolo nobile dei perfetti amministratori delegati. Ha la sintesi giusta per sbattere in faccia il curriculum ai livelli più alti.
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