ROMA - Il papà Antonio lo chiama “palo della morte”. Vecchio bomber di Torre Annunziata e dei campi sterrati di Promozione ed Eccellenza della periferia napoletana al piccolo Ciro, quando era bambino, raccomandava di appostarsi sul secondo palo, in posizione defilata. Ancora adesso, quando viene a vederlo all’Olimpico per applaudirlo con la Lazio, evoca il “palo della morte” con i suoi amici in Monte Mario. Immobile, ribattezzato San Ciro dopo l’ultima prodezza azzurra, ci ha preso gusto. Era mimetizzato sul cross di Candreva come al Bentegodi, prima della sosta, quando ha incornato e si è fatto trovare pronto sull’angolo di Luis Alberto. Dalla Lazio alla nazionale, terzo gol di testa sui quattro realizzati sinora nella nuova stagione contando anche il raddoppio nella finale di Supercoppa con la Juve saltando più in alto di Chiellini e Benatia. Ora punta il Milan nel primo vero esame in chiave Champions. [...]
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NO DI LOTITO - Chissà se domenica all’Olimpico dovrà confrontarsi con Cutrone, l’ex viola Kalinic oppure il portoghese Andrè Silva. La Lazio se lo gode, è uno dei suoi tre capitani, sempre più dentro al progetto, un vero trascinatore del gruppo anche fuori dal campo e non solo in area di rigore. Il retroscena risale all’inizio di giugno, quando il Milan avviò la trattativa per Biglia e Keita. Fassone conosce Immobile dai tempi in cui segnava raffiche di gol negli Allievi del Sorrento, lo voleva o lo avrebbe voluto in rossonero, all’alba dell’estate era stato inserito nella potenziale lista degli obiettivi per l’attacco, in seconda fila soltanto rispetto ad Aubameyang, suo compagno ai tempi del Borussia Dortmund. Trattativa mai nata, un semplice sondaggio. Non si poteva fare e non c’è stata la minima possibilità di cominciarne a parlare. Un muro Lotito. Disse a Fassone e Mirabelli che neppure avrebbe voluto ascoltare una possibile offerta.
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