ROMA - Quando “u picciriddu” incontrò per la prima volta su un campo di calcio quest’uomo, dal viso duro e le mani nodose, ma che adesso entra nella sala dei forum del nostro giornale vestito di scuro su jeans alla moda e fisico asciutto, Paulo Dybala era solo un ragazzino di talento accompagnato da una valutazione da paralizzare chiunque: dodici milioni. A maggior ragione se quei soldi li aveva messi uno parsimonioso come Maurizio Zamparini. U picciriddu argentino, il bambino, aveva un grande sinistro, la sensibilità del campione, ma poca resistenza, ansimava dopo il primo scatto, era fragile di fisico e nel suo modo generoso di correre negli ultimi trenta metri a favore dei compagni, tagliava sempre verso l’esterno, senza mai puntare la porta, non proprio il movimento giusto per trovare il gol. Beppe Iachini quel giorno era in tuta, ma in testa indossava sicuramente un capellino con visiera, come adesso, come sempre, riparo dalla luce che gli affatica gli occhi quando arriva dall’alto. Con Dybala, Iachini ha portato a termine uno dei suoi lavori migliori, dopo aver migliorato Vazquez, il giovane Icardi, Caracciolo, Pellissier.
Ha lavorato sulle linee di corsa, lo ha «intostato», come racconta adesso, rinforzandogli le gambe. Infine, un consiglio buono per tutta la carriera: «Fai le cose importanti con il piede importante». Il sinistro. Sabato Dybala è entrato in area, ha controllato il pallone con il petto e lo ha fatto scivolare sul sinistro, il suo piede. E ha fatto gol. Il vice di Iachini gli ha inviato, con soddisfazione, un sms con scritto: «Le cose importanti con il piede importante». U picciriddu aveva imparato la lezione. Dybala è diventato l’idolo della Juventus Stadium, Iachini ha perso il posto al Palermo e adesso parla per la prima volta dopo l’esonero. Questo incontro al giornale era stato fissato alcune settimane fa, facendo coincidere la trasferta del Palermo a Roma, con la Lazio, con l’occasione per parlare di calcio. Nel frattempo è cambiato tutto, ma Iachini ha mantenuto lo stesso la promessa e si è presentato puntuale, con parole dolci verso Palermo, i tifosi, la squadra, il presidente, con la cruda sincerità che hanno gli uomini che hanno dato tutto sul campo e sanno come va il mondo. Questo incontro arriva in mezzo a molte cose: l’esonero improvviso, l’ultima prodezza di Dybala e Palermo-Juve, in programma domenica, quella che per molti motivi doveva essere la partita di Iachini.
Doveva. E invece?
«Invece è andata così, ma con Zamparini ho un buon rapporto. In fondo siamo arrivati in una situazione difficile, una piazza bollente, il Palermo in B. Dovevamo partire con un nuovo progetto, averlo fatto a Palermo, in una piazza bella e importante, battendo record, valorizzando diversi giovani, portando tanta gente allo stadio, non è stato facile. L'anno scorso, in A, dovevi guardare i conti, c’era un programma di ringiovanimento per dare linfa alla società. Il fatto di aver preso tanti giovani, Dybala, Chochev, Morganella, Lazaar, che nel Varese giocava e non, Quaison, Belotti, con qualche chioccia giusta, vedi Sorrentino, Maresca, Rigoni, Barreto che è andato via, insomma si è costruito un gruppo solido, un'organizzazione di gioco ben precisa, il progetto andava avanti».
Quest'anno il Palermo era cambiato ancora.
«Sette-otto ragazzi, Dybala, Barreto, Munoz sono andati via... ma come succede nei matrimoni anche più belli, arriva il momento di incomprensione».
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Si fanno i confronti con il primo anno juventino di Tevez. Paragone proponibile?
«Io voto Dybala, non ho dubbi, perché arrivare alla Juventus a 21 anni e inserirsi in questo modo è da campione, è uno che ha una personalità enorme. Tevez è arrivato alla Juve a quasi trent’anni. Paulo è approdato in una squadra che ha vinto molto, ha dimostrato una grande personalità, un impatto sicuramente più positivo. Non sapremo mai se Tevez a vent’anni avrebbe avuto lo stesso impatto con la Juve».
Dybala ha mostrato grande personalità. Che tipo è fuori dal campo?
«Se avessi una figlia gliela darei in sposa. Paulo è un ragazzo maturo, parli con lui è come parlare a uno di trentacinque anni. Ha perso il padre da piccolo, è cresciuto in fretta. Quando sono stato esonerato, mi ha mandato subito un messaggio di vicinanza». Vazquez è un altro talento su cui lei ha lavorato molto. Che tipo di giocatore è? Un trequartista? «No, a mio avviso è una seconda punta, che potrà interpretare il ruolo di trequarti in una squadra dove c’è la possibilità di lavorare per l’ottanta per cento del tempo nella metà campo avversaria, quindi una squadra che ha il possesso palla del sessanta per cento, tipo Juve, Inter, Napoli. Non dà riferimenti».
Leggi l'intervista completa sull'edizione odierna del Corriere dello Sport-Stadio