FIRENZE - L’incontro con il ministro Luca Lotti è nell’incanto di San Miniato al Monte dove sta aiutando Padre Bernardo, il Priore, nella preparazione del millenario dell’Abbazia. La legislatura volge alla conclusione, la Legge di Bilancio è prossima.
Ministro Lotti, nella Finanziaria c’è un guppo nutrito di misure dedicate allo sport, di quale è più soddisfatto?
«E’ la prima volta che arrivano misure per lo sport così dettagliate. Quindi intanto sono contento di aver riportato lo sport all’attenzione della Legge di Bilancio. Un risultato importante dal punto di vista culturale, prima che economico. E’ una nostra vittoria e ne sono felice. Nel dettaglio sono contento dell’innalzamento della no tax area per i dilettanti da 7500 a 10mila euro. E’ un segnale importante, tanti vivono di questo lavoro. Siamo abituati a festeggiare le medaglie, ma dietro c’è un mondo di cui va riconosciuto il lavoro. Poi il fondo maternità, per far sì che un evento così importante e gioioso non sia vissuto come un ostacolo per le atlete. Anche questo mi pare un cambiamento che merita di essere sottolineato. Terzo, il finanziamento per i ragazzi paralimpici. Potranno così acquistare gli strumenti per l’attività sportiva, come per esempio la carrozzina. Non tutti devono diventare Bebe Vio, ma tutti devono aver la possibilità di svolgere un’attività sportiva, senza ulteriori aggravi. Abbiamo fatto un bel lavoro con Luca Pancalli. Poi certamente l’istituzione della norma che consente ai minori extracomunitari di tesserarsi a una società sportiva. Il fondo sport e periferie che è stato reso strutturale e permanente. Gli incentivi per chi investe in impiante e palestre. Infine la riforma della legge Melandri».
Ha dovuto faticare dentro al governo per far passare queste misure?
«In Italia per troppi anni lo sport è stato poco considerato. Non mi riferisco solo alle risorse. Questo e il governo dei Mille giorni di Renzi ci hanno creduto invece fortemente. Certo, la riflessione che lasciamo al prossimo governo è importante. Oggi il ministero dello sport è senza portafoglio. Mi auguro che a inizio legislatura possa tornare ad essere un ministero con portafoglio. Questo a prescindere da che colore avrà il prossimo esecutivo. Credo vada riconosciuto che da parte nostra si è intrapreso un processo chiaro. Nei governi precedenti, di centrodestra o di centrosinistra, lo sport era marginale. Ora non è più così».
La riforma dei diritti televisivi è arrivata. Tanti ormai non ci credevano, qualcuno magari sperava non fosse neanche varata: secondo la sua percezione i club come l’hanno accolta?
«Leggo al momento tabelle e numeri abbastanza imprecisi. Non so come abbiano potuto calcolare determinate cifre senza conoscere, non solo le percentuali, ma anche i criteri. Io ho cercato di fare una riforma dopo aver ascoltato tutte le società di serie A, ovviamente però decidendo di rivedere quei parametri nati per rendere il campionato più spettacolare, ma che a nove anni di distanza non andavano più bene. Abbiamo elevato dal 40% al 50% la cifra da dividere in parti uguali. Abbiamo dato un po’ più di peso ai punti in classifica, e alle posizione degli ultimi tre campionati. Poi abbiamo deciso di dare il 20% secondo criteri diversi legati al pubblico e all’audience televisiva o al pubblico in generale. Scenderemo nel dettaglio con un decreto ad hoc, per stabilire quali siano i parametri più giusti e condivisi con le squadre».
E le reazioni quali sono state finora?
«Silenzio e stupore, per adesso. Stupore perché c’era chi non credeva ce l’avremmo fatta. Silenzio perché ancora non si conoscono i numeri. Però credo alle mie idee, al percorso compiuto, che il vostro giornale ha raccontato perfettamente, basato su tre pilastri fondamentali: la legge sugli stadi inserita nella manovrina di giugno. La parte che riguarda la governance della Lega, speriamo a proposito arrivi presto l’amministratore delegato. Infine la riorganizzazione dei diritti tv. Tutto per rendere più competitivo il nostro campionato. Una volta era il più bello del mondo, ora vale un po’ meno. Oggi credo ci sia la possibilità per recupare terreno e creare maggiore valore».
Non dovrebbero però i club allinearsi agli standard europei anche dal punto di vista della legalità?
«Tutti dobbiamo fare uno sforzo. Dai calciatori ai dirigenti. Non ho mai creduto al pugno duro. Ma a un cambiamento culturale. Penso a un lavoro che va fatto nelle scuole calcio. Quando ti insegnano da bambino ad avere certi comportamenti e a credere a determinati valori, poi non metti l’immagine di Anna Frank con la maglia della Roma. Serve una rivoluzione culturale. Magari non si vedrà nel breve, ma alla lunga sì».
Ma i presidenti delle società a questa rivoluzione ci credono?
«Ci devono credere. Uno stadio ordinato, uno stadio dove una famiglia può andare a vedere una partita, può riportare più pubblico. Nella riforma che abbiamo fatto della legge Melandri c’è una incentivazione alla vendita dei biglietti. Garantendo certo sicurezza e magari un abbassamento dei prezzi, se questo dovesse aiutare. Però mi lasci dire: abbiamo anche segni che vanno in una direzione giusta, grazie ai club. Penso all’abbattimento delle barriere a Firenze, a Frosinone, nei nuovi stadi dell’Udinese e della Juve. Ci sono insomma tanti segni positivi. Oggi se viene a Firenze a vedere una partita si accorgerà che senza la barriera che circondava il Franchi il pubblico si gode meglio lo spettacolo. C’è una trasformazione in atto. Magari lenta, ma c’è».
A proposito di stadi, sembra essersi sbloccata la situazione per la Roma anche se resta qualche problema legato alla mobilità. Qual è la sua opinione?
«Conosco benissimo la vicenda, perché sono onvinto che le infrastrutture in Italia siano importanti. Per me lo stadio della Roma, dell’Empoli o dell’Atalanta, che presenteremo in settimana, hanno lo stesso valore, ovviamente. Mi auguro che per la Roma arrivi presto il via libera della Conferenza dei servizi. Che arrivi senza troppe prescrizioni o gravato da problematiche. Ovvio che tutto deve essere regolare dal punto di vista dell’accesso e della mobilità. Sono convinto che il lavoro della Conferenza sarà attento al rispetto delle norme. Ma è evidente che il lavoro deve dare frutti presto, perché l’investimento è rilevante e non può aspettare troppo tempo. Mi auguro che arrivi un buon via libera. Un via libera chiaro, netto e deciso per far partire l’iter di bonifica e poi dei lavori».
A giorni il Credito Sportivo uscirà dalla lunga fase commissariale, secondo il suo progetto che funzione dovrebbe avere?
«Intanto abbiamo messo fine al commissariamento. Ho nominato per guidarlo un uomo di sport, Andrea Abodi, a cui faccio l’in bocca al lupo. Sono certo farà molto bene. In questi giorni si costituirà il Cda. Mi auguro che possa partire presto il lavoro di Abodi, che ho individuato come persona più adatta per far sì che il Credito Sportivo diventi il partner dei Comuni, degli Enti pubblici, ma anche delle società sportive, per dare una mano nella costruzione dei progetti. Oggi una banca non può operare con le regole di cinquanta anni fa. E’ chiaro che siamo in un periodo diverso rispetto agli anni Cinquanta quando nacque, però non c’è dubbio che la sua missione sia quella di supportare le società che hanno voglia di investire. Se a una società manca un qualcosina per chiudere finanziariamente un progetto, quel qualcosina può arrivare dal Credito Sportivo. Abodi ha già iniziato un lavoro di ascolto dei territori. E in molti hanno capito che il Credito Sportivo può essere un’opportunità».
A compimento della legislatura quale impressione ha ricavato sullo stato di salute dello sport italiano?
«Intanto ho conosciuto tante realtà sportive per me nuove . Poi mi sono reso conto del grande lavoro che c’è dietro a un successo. Ho trovato nelle società e nei gruppi militari un mondo pieno di vitalità. E mi auguro sia lo stesso anche per i gruppi universitari. Forse ho trovato nelle gerarchie sportive un po’ di strutture ingessate. Ci sarebbe bisogno, noi in primis, di maggiore flessibilità, per metterci meglio al servizio dello sport. Penso a tante regole che bloccano. Per esempio la squadra di Tavarnelle di pallamano è passata miracolosamente di categoria, ma non può giocare nel proprio palazzetto».
Come è stato il rapporto con Federazioni e Coni?
«Forse lo sport ha vissuto in solitudine perché la politica se n’è disinteressata. Noi crediamo a un rapporto diverso con Federazioni e Coni, altrimenti non avremmo istituito un ministero. Arriverà il limite dei mandati in cui ho sempre creduto, saranno tre, per ringiovanire certi settori dello sport. Nel rapporto con il Coni ci può essere un equilibrio diverso. Anche normativo. Non si può fare ora, ma è un obiettivo che lancio per la prossima legislatura».
Da ministro dello sport come giudica l’apertura del Cio ai videogiochi?
«Sono un nostalgico, anche se ho trentacinque anni. L’apertura mi lascia perplesso. Voglio capirne di più. Ma a me piacciono le Olimpiadi con le discipline tradizionali».
La Nazionale domani si gioca il Mondiale.
«Inutile negare un po’ di delusione per il risultato in Svezia, ma ora non credo servano le parole. Conta solo vincere».