ROMA - ‘E pò se faccio ‘e corna nunn’è pe’cattiveria, è ca ce l’aggio a morte cu’chi sfrutta ‘a miseria. Scriveva Pino Daniele sulla copertina del suo primo album dal vivo, Sciò live, ritratto mentre fa il gesto delle corna.
Non aveva ancora 30 anni e nel giro di un decennio era passato dall’essere un giovane musicista di belle speranze, che aveva mosso i primi passi all’ombra della musica napoletana come session man, allo status di acclamata star di un movimento che raggiunse in fretta una dimensione internazionale. La fugace esperienza come bassista nel gruppo Napoli Centrale fu occasione di incontri che avrebbero caratterizzato la sua carriera e rampa di lancio per una voce inconfondibile, come poi sarebbe diventato anche il sound della sua chitarra, immediatamente riconoscibile.
James Senese, Rino Zurzolo, Joe Amoruso, Tullo De Piscopo, Tony Esposito: l’essenza del neapolitan power, come fu chiamato allora il vulcano di energia musicale. Musicisti e amici con cui Pino Daniele ha iniziato e concluso la sua formidabile avventura musicale, sublimando il concetto di collaborazione e gioco di squadra, senza mai allentare quei profondi legami nati in gioventù. L’album d’esordio è datato 1977: Terra mia e soprattutto ‘Na tazzulella ‘e cafè, che spopola nelle radio. Già, la lingua napoletana, che impose con naturale fierezza per cantare ciò che voleva senza porsi problemi. Perchè il linguaggio della musica va oltre le lingue, i dialetti, le barriere.
E l’aver saputo imporre la sua napoletanità è stata una delle sue carte vincenti, un optional di valore, non certo un handicap nel momento in cui la sua musica è diventata parte di un qualcosa che superava le etichette, purtroppo sempre di moda nell’ambiente musicale.
La musica di Pino Daniele? I 23 album originali, i 6 live, la quindicina di colonne sonore per il cinema (indimenticabile il legame con l’amico Massimo Troisi, l’uno fonte di ispirazione dell’altro, brani che i film indossavano come guanti) raccontano un grande cocktail di blues, rock, jazz, una fusion partenopea sconfinata poi nel pop d’autore, snobbato e sottovalutato da parte della critica ma sempre personale e di classe. Un po’ come accaduto al suo amico Eric Clapton. Ma Pino Daniele ha saputo sempre raggiungere e toccare il cuore del suo pubblico. I ritmi, le canzoni d’amore mai banali, quei vestiti musicali ricchi di sentimento e qualità sono diventati un marchio di fabbrica ineguagliato.
Nero a metà, come ogni bluesman bianco che si rispetti (“A me me piace o blues”), un lazzaro felice di coniugare napoletano e inglese , curioso di tutto ed aperto come spesso la gente di mare sa essere. Pino daniele non è rimasto prigioniero di un’idea musicale o di un’etichetta, perchè ha avuto il merito nella fase cruciale della sua carriera, di anticipare le mode lasciandosi conquistare dalle contaminazioni. Dalla fusion con il jazz, passando per blues e rock, alla musica etnica, araba in particolare.
E’ sempre stato un musicista curioso e desideroso di vivere la musica come occasione di incontri, non solo professionali. Potrà forse stupire, ma probabilmente Pino Daniele è stato il musicista italiano di maggior fama nell’ambiente della musica mondiale. Non a livello di classifiche (che pure in Italia lo hanno spesso abbondantemente premiato: vinse anche un paio di volte, nobilitandolo, il FestivalBar) ma per l’enorme quantità di grandissimi musicisti con cui ha suonato nei suoi album e dal vivo. Un lunghissimo elenco di stelle internazionali (da Pat Metheny a Wayne Shorter, da Gato Barbieri a Eric Clapton, Mel Collins, Al Johnson, Vasconcelos, Mike Manieri, Yellowjackets, Corea, Cobham, Bonamassa, solo per citarne alcuni) ed italiane di varie generazioni (l’ultimo gioiello con Enzo Avitabile, E’ ancora tiempo). Amava la musica più di ogni cosa e strinse rapporti d’amicizia con tanti colleghi, cosa niente affatto scontata. E spesso l’amicizia si traduceva in lavoro, ovvero in musica. Da Eros Ramazzotti ad Antonello Venditti, da Francesco De Gregori a Fiorella Mannoia, fino J Ax e Rocco Hunt, l’ultimo giovanissimo talento campano sbocciato tra Napoli e dintorni. Era abituato così, come in gioventù, quando i musicisti partenopei alzarono la voce cercando di affermarsi dando voce e musica alla new age musicale di casa nostra. Avitabile e Bennato, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Jenny e Alan Sorrenti, gli Osanna di Lino Vairetti. Forte il legame con lo sport gli stadi: mentre lui era al top della hit parade, il Napoli vinse due scudetti. A San Siro il suo primo trionfo dal vivo, nel 1980, dinanzi al pubblico accorso per il mito Bob Marley. Al San Paolo un memorabile concerto, a Cava dei Tirreni incise Sciò live, probabilmente il più bell’album italiano dal vivo degli anni ’80.
Napoli ha mille colori, come scrisse Pino Daniele, e lui ne ha cantati molti, mascalzone latino che se n’è andato all’improvviso lasciando Napoli con un sole amaro.